giovedì 26 giugno 2014

Storia di una fotografia


Se dicessi che questa foto l'ho scattata io forse qualcuno solleverebbe dei dubbi a riguardo, ma non sarebbe niente di impossibile. Invece se vi rivelassi che le persone ritratte sono mio padre (al centro), mio bisnonno (a destra) e suo fratello e che siamo circa alla fine degli anni 60? Mi credereste ancora?
Bando agli enigmi: questa è una foto ad una foto che scattai nel 2012, con la mia vecchia Canon 350D.

Era novembre 2012 quando giunsi nel paesino sloveno di Lopar con mio padre. Eravamo alla ricerca di informazioni... e di persone, perché avevo da poco iniziato ad appassionarmi alla genealogia della mia famiglia, tanto da riuscire, con notevole fatica e soddisfazione personale, a risalire di ben sei generazioni nel ramo che porta il mio cognome e le fotografie hanno avuto un ruolo indispensabile nella ricerca, soprattutto quelle (poche) che riportavano i nomi e le date scritte a matita sul retro. Ma questa in particolar modo è una fotografia protagonista di un fatto piuttosto curioso (almeno per me).

Iniziai con una visita alla parrocchia di Bertocchi alla ricerca dei vecchi registri in latino scritti a mano per finire in un paesino sperduto tra i boschi e le campagne slovene della provincia di Capodistria.
Nella mia famiglia non c'è nessun generale, avvocato o ricco mercante, ma semplicemente generazioni e generazioni di contadini.
Lo si intuisce anche dalla foto qui sopra: la casa di pietra carsica sulla destra è probabilmente la casa di mio bisnonno dove è cresciuto assieme ai suoi dieci fratelli e sorelle. Il selciato di pietre vive non ha mai visto un pneumatico ma piuttosto gli zoccoli di un asinello. Tutto ciò non ricorda sicuramente la vita cittadina della Trieste asburgica, ma la vita povera e difficile della campagna Jugoslava.
Che sia stata una vita difficile lo testimoniano almeno le trascrizioni sui registri parrocchiali dei tre fratelli del bisnonno morti infanti, appena in tempo per ricevere la benedizione del battesimo.

Ma è capitato, come dicevo poch'anzi, che la ricerca dei fratelli di mio bisnonno Giovanni (nonno Giovanìn), ci abbiano portati al paesino di Lopar. Grazie ad una dritta ottenuta da uno degli ultimi anziani che vive ancora nel paesino limitrofo di Kocjancici (paese natale di nonno Giovanìn) e che incontrai per caso giorni prima, ci dirigemmo verso questo paese a noi sconosciuto.
Lopar è piccolissima e lo testimonia il fatto che la prima persona che abbiamo fermato per chiedere informazioni era proprio la persona che cercavamo!
"Ma tu sei Livio?" - ci disse la signora additando mio padre. "Sì, sono io". La signora si rivelò essere proprio colei che stavamo cercando: cioè la cugina di mio nonno.
Dopo baci e abbracci di circostanza ci invitò a casa sua e rovesciò sulla tavola una scatola piena di vecchie fotografie. Passammo almeno un'ora a scambiarci informazioni, commentare le foto, scavare nei ricordi della famiglia quando la signora, guardano mio padre negli occhi, disse: "Ma sai che, adesso che mi ci fai pensare, c'è una foto tua nell'agriturismo qui vicino?".
Trasalimmo.... una foto di mio padre? Agriturismo? Dovevamo andare a vedere.

Entrammo nel locale, aprendo con le chiavi perché era chiuso e nella penombra, appesa al muro c'era la foto che cercavamo: un pannello di un metro e rotti per un metro, appeso in bella vista sul muro di pietra del locale, e lì, in quella gigantografia stampata, c'era Zio Pepi, mio padre giovanissimo (quello con le orecchie più corte ;) ), nonno Giovanìn... e il mulo, cioè probabilmente il bene più prezioso dello Zio.

Mio bisnonno veste abiti molto eleganti in questa foto, probabilmente sfoggiati con orgoglio a testimoniare che lui, ormai, non era più un "contadino della Jugo", ma un "contadino di città". Anche mio padre vestiva insolitamente elegante in questo scatto. Un'avvenimento o una festa particolare?
I due fratelli si sorridono a vicenda. Forse non si vedevano da tanto tempo perché mio bisnonno lasciò il paesino di Kocjancici da giovane per cercare lavoro nella vicina Trieste, florida città-porto dell'Impero AustroUngarico. E lì, con la semplice paga di operaio, riuscì ad acquistare in contanti (altri tempi....decisamente) il terreno per edificare la casa nella quale tutt'ora vive mio padre e che, per più di vent'anni, è stata la mia personale oasi di libertà.

Lo zio invece preferì rimanere in paese, o forse vi ritornò in seguito dopo aver perso una gamba sotto le ruote del tram. Sì, perché Zio Pepi aveva la gamba di legno e il mulo lo agganciava al carretto per farsi trasportare dalla casa natale alla campagna e ritorno, ogni santo giorno.
Lo sguardo di mio padre è quasi canzonatorio, come se sorridesse a se stesso e a me, in attesa del nostro arrivo. Mio padre, in quel momento, guardava se stesso, come da una finestra nel passato e nonno e zio se la stavano ridendo: "hai visto, fratello? Te l'avevo detto che prima o poi ci avrebbero scovato".

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